Per la rubrica #lavocedellemamme oggi voglio ospitare Stefania, una mamma dalla forza immensa, una donna che nel momento magico in cui stava nascendo suo figlio si è trovata a confrontarsi con non poche difficoltà, ma che posso dire, avendola conosciuta personalmente, ne è uscita alla grande.
Stefania ha fatto tratto qualcosa di stupendo da un’esperienza che nessuna mamma si merita di vivere.
Faccio una piccola premessa un po’ più professionale, perchè so che questo piccolo dettaglio per tante donne è sconosciuto.
Quando si parla di allattamento, il pelle a pelle nelle primi due ore dal parto è fondamentale per l’avvio sereno dell’allattamento, per aiutare il bambino a superare il trauma del parto e la mamma ad accettare questa nuova vita come sua creazione, parliamo proprio di una serie di ormoni rilasciati al primo sguardo mamma-bimbo che gli permettono di innamorarsi uno dell’altro.
Quando questo non accade spesso ci sono enormi problemi con l’allattamento e il rischio di depressione post partum aumenta notevolmente.
Recuperare il pelle a pelle mancato risulta essere la vera medicina a questo passaggio mancato.
Lascio la parola a Stefania:
“Luglio 2018. Caldo infernale di quello che ti fa pesare pure l’aria che respiri e che ti rende appiccicosa costantemente nonostante le mille docce. Pancione e impazienza… ci siamo quasi, la mia data prevista del parto era proprio lì dietro l’angolo, e finalmente quella tortura che chiamano fine gravidanza sarebbe terminata. Se avessi saputo cosa mi aspettava probabilmente l’avrei pensata diversamente.
Ero in attesa del mio piccolino, il secondo per l’esattezza che però non ne voleva sapere nulla di uscire. Stava bene lì, con me, ancora per un pò.
Ma invece mi ritrovo con febbre alta, tracciato e battiti fetali totalmente inadeguati. Io avevo paura e a confermarmelo era l’irrequietezza di chi mi stava intorno.
Non capisco esattamente che cosa sta succedendo, ma sono spaventata per il motivo che tiene in allerta il personale. E’ quel tracciato (per me incomprensibile) che capisco benissimo essere il motivo della tensione e dell’allerta. Se il tracciato preoccupa, significa che il mio bambino non sta bene.
E’ deciso, cesareo d’urgenza.
Un cesareo d’urgenza a me! Io che, nemmeno per la prima figlia, non ho mai preso in considerazione l’epidurale, mi stavo trovando a fare addirittura un intervento d’urgenza!
Eh vabbè, ma è per il suo bene e anche per il mio, penso ora… in quel momento, invece, era lo sconforto ad aver preso il sopravvento.
Fra le lacrime mi portano in sala operatoria, fra le lacrime gli auguro “buon lavoro” prima di sentire le palpebre pesanti chiudersi e “subito dopo” le palpebre pesanti aprirsi ed ancora lacrime (riprese esattamente da dove le avevo lasciate!)
Nel mezzo era successo un miracolo, ma io non ne avevo assolutamente coscienza. Nel mezzo era nato mio figlio. Il mio corpo era stato svuotato, ma chi l’avrebbe spiegato alla mia mente e al mio cuore?
La mente razionale lo aveva capito… è il resto della mente, del mio cuore, del mio essere che ci ha messo giusto un pò di più.
Mi dicono che il bimbo sta bene, starà in TIN per una notte, perché provato dall’intervento e dall’anestesia. Mi sono fatta andare bene la motivazione, anche se non mi tornava, ma non avevo le forze di contestare. Il mio esse infermiera e il mio istinto da mamma mi suggerivano che c’era qualcosa che non andava, ma solo più avanti avrei poi scoperto che era nato con APGAR 1 ed era stato rianimato.
Dire che mi sono arrabbiata è un eufemismo! Non ero stata messa al corrente. Avevo un motivo per essere preoccupata ed invece ero preoccupata e inquieta senza un’apparente motivazione.
Io ero in rianimazione, il piccolino in TIN e poi al nido, distante da me, entrambi con almeno 2 antibiotici in vena (piccolo lui, con quelle braccine minuscole).
Trascorriamo le giornate così, distanti per abbracciarci 1 ora al giorno. Fortuna che il papà passava le restanti ore con lui. Era l’unica consolazione, sapevo che non era solo, la migliore che avevo a disposizione in quel momento.
Negli incontri quotidiani in rianimazione ho iniziato il pelle-a-pelle…avevo bisogno di sanare quel distacco violento, non del tutto compreso e assolutamente non voluto.
Probabilmente quel distacco non vissuto, il mancato colpo di fulmine occhi negli occhi, hanno fatto si che, guardandolo, non riuscissi a provare quell’amore travolgente che mi aspettavo di provare. Non mi era indifferente, ma non sentivo quella scintilla che si trasforma in fuoco ardente.
Sapevo benissimo cosa avrei dovuto provare, del resto è il mio secondo bambino, ma i sentimenti non si impongono.
Mi sono detestata per questo.
Era il mio bambino, avevo rischiato di perderlo, aveva lottato per stare in questo mondo con noi e io non lo sentivo il prolungamento di me stessa come era già capitato con la prima, come avrebbe dovuto essere.
La sera stessa del primo incontro mi sono fatta portare il tiralatte e ogni 3 ore me lo sono tirata. Poche gocce inizialmente, il prezioso colostro che volevo a tutti i costi che gli dessero, poi sempre di più, fino ad arrivare alla sera successiva che ne tiravo 120ml ogni 3 ore.
Molti di più di quelli che gli somministravano, ma era il mio latte e questo mi rassicurava. Anche se non al seno ero comunque io a nutrirlo.
E, in quell’ora che me lo portavano, chiedevo che non gli dessero il biberon al nido, per provare ad attaccarlo direttamente al seno. Era affaticato, ma non lo ha mai rifiutato.
Io che non ero stata capace di dargli una nascita tranquilla e serena almeno riuscivo a sfamarlo nel migliore dei modi.
Dopo 4 giorni, infiniti, in rianimazione, mi trasferiscono in reparto, e finalmente da quel momento non siamo più stati distanti. Abbiamo abbandonato, immediatamente, biberon e tiralatte ed abbiamo iniziato a seguire i suoi ritmi in maniera esclusiva ed a richiesta.
La fascia porta-bebè è stata, insieme all’allattamento, una mia grande alleata nel mese (e anche dopo!!) che ci ho impiegato a riconoscerlo davvero e ad amarlo come mi sarei aspettata succedesse subito.
Tenerlo stretto vicino a me mi ha permesso di sentirlo parte di me, come quando era nella mia pancia, l’altezza giusta per annusarlo, baciarlo, sentirlo respirare tranquillo sul mio petto.
Abbiamo vissuto momenti difficili, ma ho molte cose di cui essere grata.
Ho avuto la conferma di quanto il supporto della rete che abbiamo intorno sia un aspetto fondamentale, in grado di cambiare completamente la percezione delle cose.
La mia famiglia e quella della mia dolce metà, non mi hanno mai lasciata sola e ci hanno aiutato con la piccola a casa, mentre noi eravamo in ospedale, cercando di farle vivere quella attesa e quel distacco nella maniera migliore possibile.
Sono stati IMPAGABILI, PREZIOSI e INSOSTITUIBILI.
Mia madre, che dal rientro a casa, si è sempre preoccupata di farmi trovare un pasto pronto permettendomi di poter dedicare tutto il tempo di cui avevo bisogno ai miei due bimbi.
I miei amici, che, anche se distanti fisicamente, ho sempre saputo che in caso di bisogno ci sarebbero stati al primo accenno.
E, in ultimo, ma non per ultimo, il padre dei miei figli, l’uomo che mi accompagna in questo viaggio, che ha passato le giornate, in cui io non potevo esserci, insieme al nostro piccolino e che grazie a questi gesti d’amore non lo avrà mai fatto sentire solo e/o abbandonato.
Hanno un legame speciale, quei due, e sono convinta che molto dipenda da questo.”