Al giorno d’oggi, a differenza di qualche anno fa, un figlio lo si programma.
Si aspetta di avere un lavoro stabile, una bella casa, di aver reso solida la coppia e di aver fatto qualche viaggio in una località esotica.
Si aspetta e poi quando si inizia a provare a volte un figlio non arriva. Si riprova, e non arriva ancora.
Oggi ho chiesto ad Alessia (che trovate a www.latuaostetrica.it) di parlarci di cosa è l’infertilità e di cosa fare nel primo anno in cui si prova ad avere un figlio e non ci si riesce.
Insieme ad Alessia, ci porta la sua testimonianza Cinzia, una ragazza splendida che ormai è diversi anni che, insieme a suo marito, sta cercando di allargare la sua famiglia.
Ecco cosa ci racconta Cinzia.
“Ma quando lo fai un figlio?”. Alzi la mano chi non si è mai sentita rivolgere questa domanda.
Ed è la domanda che negli ultimi 6 anni mi sono sentita chiedere più spesso. Come se esistesse un magico interruttore in grado di materializzare un bebè tra le mie braccia. Come se io mi rifiutassi volontariamente di premerlo. Come se non fosse già abbastanza doloroso dover convivere con l’infertilità e dover lottare ogni giorno per esaudire il mio più grande desiderio.
Il diario della maternità negata è tutt’altro che facile. L’incipit dice più o meno così…”caro diario, io e mio marito abbiamo deciso di avere un bambino”. Da quel giorno sono passati 6 anni. Sì perché quel bambino tanto voluto ancora non è arrivato.
Abbiamo iniziato a provarci senza pensarci più di tanto: all’inizio c’è solo il lato divertente, non ci sono dubbi e non si dà troppo peso al mancato successo.
Poi iniziano le prime visite, “solo un controllo per essere sicuri che sia tutto ok”. La lista di quello che abbiamo provato agli inizi è difficile da ricordare: stick di ovulazione, monitoraggio della temperatura basale, rapporti mirati, assunzione di integratori di vario tipo, qualche rito voodoo, intrugli vari, alimentazione bilanciata e soprattutto esami del sangue, tantissimi esami del sangue. Il tempo passava, ma quella culla rimaneva sempre vuota.
Alessia ci spiega:
Non tutto si spiega scientificamente, non sempre si trova un motivo e una spiegazione per tutto e a volte questo è difficile da accettare. Cercare un figlio e una gravidanza dovrebbe essere un’emozione grande, un momento di immensa felicità ma non sempre viene vissuto così.
In realtà non è così facile rimanere incinta. Ci dicono per una vita intera di stare attente, usare precauzioni, e poi quando desideriamo che arrivi quella gravidanza, non arriva.
Il periodo più fertile di una donna va dai 16 anni ai 25-30 anni, man mano che ci avviciniamo ai 30 e superata quest’età è più difficile restare incinta. In ogni caso ad ogni ciclo si ha circa il 30% di possibilità che quell’ovulo venga fecondato e si avvii una gravidanza.
Per questo fino ai 30 anni è consigliato aspettare un anno prima di fare accertamenti e sei mesi quando si è superato i 30 anni. In questo periodo la ricerca dovrebbe essere vissuta in maniera positiva, serena e rilassata, non farsi condizionare dall’esterno, creandoci ansia e stress. Per il bene della coppia i rapporti non devono essere visti solo in funzione della procreazione ma anche nella loro ottica ludica. Sono consigliati rapporti sessuali frequenti, soprattutto nel periodo dell’ovulazione, in vari momenti della giornata, non c’è un momento giusto.
Se non si riconosce il momento dell’ovulazione il mio consiglio è quello di provare, dopo qualche mese, gli stick di ovulazione che aiuteranno a riconoscere i giorni più fertili.
E’ importante, però, ricordare che la nostra testa gioca un ruolo molto importante, infatti spesso quando la ricerca diventa motivo di frustrazione e stress, quando si vive solo in funzione di quello, le aspettative sono così alte che quella gravidanza tarda ad arrivare. E’ molto importante, per il bene della coppia e della ricerca della gravidanza stessa, limitare lo stress e l’aspettativa, concentrarsi su altro che sia lo sport, una passione, un viaggio…
Quando si decide di iniziare a cercare una gravidanza non è necessario riempirsi di esami e controlli, almeno evitarlo i primi mesi, perchè questi creano ulteriore stress e ansia, nessuno ama bazzicare per gli ospedali e i medici.
Le cose più importanti da fare sono: una visita ginecologica di controllo se è più di un anno che non la fate, un’ecografia mammaria, iniziare l’assunzione di acido folico, un pap test se sono passati più di 2-3 anni dall’ultimo, gli esami preconcezionali (LEA 2017).
Spesso pur facendo i controlli, che risultano essere nella norma, questa gravidanza proprio non arriva. Questo può essere dovuto allo stress, all’ansia, al fatto che ormai la gravidanza spesso viene cercata dopo i 35 anni ed è vero che la fertilità diminuisce. Ho conosciuto donne che cercavano per anni una gravidanza che non arrivava e poi per qualche mese succedeva qualcosa che distoglieva la loro attenzione, le faceva per forza di cose pensare ad altro, e magicamente quella gravidanza arrivava…
Cinzia continua:
“La svolta arriva quando iniziano a parlarti di IUI, FIVET, ICSI, sigle che fino a quel momento avevi ignorato, ma che sanciscono l’inizio del percorso di PMA, la Procreazione Medicalmente Assistita.
Con in mano una diagnosi di “infertilità inspiegata” e dopo due tentativi di IUI falliti, sono sprofondata in un buco nero. Come potete immaginare tutto questo ha un peso non indifferente, sia per la coppia che per l’individuo. Io come donna mi sentivo inadatta, inutile, incapace… vedere tutte le mie coetanee alle prese con pancioni, pappe e biberon mi ha fatto chiudere in me stessa, mi ha fatto soffrire e versare tante di quelle lacrime che ho perso il conto. Come ne sono uscita? Chiedendo aiuto, parlando con una psicologa e facendomi aiutare dal mio partner. In un percorso come questo trovo che sia molto utile parlare con un professionista, che possa aiutare a sopportare meglio questa strada accidentata.
Dopo la IUI, abbiamo fatto un tentativo di ICSI, la fecondazione in vitro. Quella vera, quella tosta, quella che ti distrugge il fisico, che ti rende la pancia livida e gialla per le numerose punture di ormoni che ti devi praticare ogni giorno. Quella che ti gonfia la pancia, che ti fa passare la paura degli aghi, ma anche quella in cui speri di più, perché tutti ti raccontano dell’amica della cugina che così ci è riuscita.
La ICSI non è un percorso facile: dopo una serie di esami preparatori si inizia con l’arrivo del ciclo. Monitoraggi ecografici a giorni alterni e punture di ormoni da farsi in pancia. Tutte le sere alle 20 la sveglia mi ricordava che era il momento della puntura, su quella pancia piena di segni e di lividi giallognoli. E a giorni alterni mi ritrovavo in una sala d’attesa, con tanti volti stravolti ma speranzosi come il mio, con coppie mano nella mano e le pareti piene di foto di bambini “nati in provetta” che aiutano a sperare in un successo.
Una volta a ridosso dell’ovulazione abbiamo intensificato le iniezioni e siamo arrivati al giorno del pickup. Ricordo benissimo quella mattina: tantissima tensione, la prima anestesia totale della mia vita, la paura di sentirsi dire che non erano riusciti a recuperare niente. Invece è andata bene: 7 ovuli prelevati pronti per essere fecondati.
Poi arriva il giorno del transfer. Sveglia presto, direzione ospedale senza sapere cosa aspettarsi. Sarà sopravvissuto qualcosa? Riusciranno a trasferire un embrione? E anche questa volta una buona notizia: dei 7 ovuli prelevati, 4 si sono fecondati, 3 embrioni sono sopravvissuti ai primi giorni in vitro, 2 sono stati congelati e un unico embrione mi è stato impiantato.
E poi si tratta solo di aspettare… ti mandano a casa, con una foto dell’embrione stretta tra le dita e si ritorna alla vita di tutti i giorni, sperando nell’attecchimento.
L’attesa delle beta è una montagna russa di emozioni: la speranza si alterna allo sconforto, senti sintomi che non esistono e gli ormoni di cui ti sei bombardata non sono certo di aiuto. Purtroppo la nostra prima ICSI è finita con un fallimento. A un giorno prima delle Beta mi è arrivato il ciclo e sono caduta nello sconforto. Un po’ me lo aspettavo, perchè i dolori che sentivo erano inequivocabili, ma fino all’ultimo ho voluto credere che ci fosse una speranza.
Ma la mia storia non si è ancora conclusa: nel freezer abbiamo ancora due embrioni, che spero un domani possano esaudire il mio desiderio più grande, quello di essere una madre. Non ho abbandonato la speranza e ho ancora tanta voglia di lottare.
Un consiglio? Prima di chiedere a una coppia quando metterà su famiglia per favore fermatevi. Fermatevi e cambiate domanda, parlate del tempo, delle vacanze o dei vostri passatempi. Non potete sapere che cosa sta vivendo quella coppia in quel momento. Non potete nemmeno immaginare quanto la vostra domanda “innocente” provochi sofferenza. Siete curiosi? Aspettate, date tempo al tempo, magari un giorno vedrete quella coppia spingere una carrozzina con un sorriso sul viso che è grande quanto la forza e la tenacia che hanno avuto nel perseguire il loro sogno. Lo auguro a me e lo auguro a tutte quelle coppie che ancora non hanno conosciuto il loro bambino. Sperate e non smettete mai di provare!